Colpo di Stato in Sierra Leone: la destabilizzazione dell’Africa

La scorsa settimana in Sierra Leone è stato tentato un Colpo di Stato; la democrazia in Africa occidentale non sembra voler essere stabile.

 

 

La Sierra Leone è uno Stato che negli anni ’90 ha vissuto una delle più sanguinose guerre civili della storia moderna del continente africano e gli strascichi di quel conflitto interno rimangono ancora oggi ben ancorati nella memoria personale e collettiva della sua popolazione; proprio per questo, dunque il tentativo di Colpo di Stato della scorsa settimana ha destato immediatamente preoccupazione negli attori politici locali e internazionali.

Dietro il tentativo di Colpo di Stato sembrerebbe esserci l’ex Presidente del Paese, in carica fino al 2018, Ernest Bai Koroma; stando alle dichiarazioni dell’attuale Ministro dell’Interno della Sierra Leone, Chernor Bah, parrebbe infatti che i responsabili dei disordini creati nella capitale del Paese siano militari e uomini della polizia fedelissimi dell’ex Presidente.

Questa rivolta, che fortunatamente non è sfociata in una vera e propria guerra civile in grado di sovvertire l’ordine costituitosi in seguito alle elezioni, è iniziata a maturare nelle menti dei ribelli proprio in seguito alle ultime elezioni di giugno, dove il partito del Presidente uscente Julius Bio è riuscito a rimporsi per il secondo mandato di fila; questo risultato è stato dunque immediatamente contrastato e criticato non solo dal Partito d’opposizione, ma anche da alcuni partner internazionali fra cui USA e UE.

Forse il tentativo di Colpo di Stato è stato in qualche modo favorito, o quantomeno avallato, da alcuni esponenti politici di questi potenti partner internazionali, magari impauriti dalla possibilità di perdere ulteriore terreno in termini di influenza nel continente africano; questo scenario, per le democrazie occidentali, è infatti quanto mai più spaventoso in quanto negli ultimi anni a guadagnare terreno nei rapporti politici e commerciali con alcuni Stati africani sono stati la Cina e la Russia, ovvero i due principali antagonisti del sistema di dominio occidentale.

Se consideriamo quanto accaduto in Mali, in Sudan e in altri Stati dell’Africa orientale sembrerebbe evidente che i principali attori politici mondiali stiano misurando la propria forza politica e la propria capacità di influenzare altre regioni attraverso la creazione di una nuova rete dei legami commerciali e politici, spesso generando tensioni interne, con lo scopo di assicurare alla guida di uno o più Paesi il leader politico piu congeniale per i loro interessi.

 

 

La situazione probabilmente sarà sempre più tesa con il passare del tempo, visto l’avanzamento pratico del progetto cinese della Nuova Via della Seta e la voglia della Russia di Putin di acquisire nuovi partner non europei per esportare le proprie materie prime energetiche e le proprie tecnologie estrattive in un continente il cui sottosuolo pullula di materie energetiche.

Il problema molto probabilmente sarà gestire le tensioni che probabilmente si creeranno fra i vari schieramenti politici, e quindi fra la popolazione, in un continente in cui spesso la voglia di assicurarsi una situazione migliore dal punto di vista economico per sé e per la propria cerchia di alleati ha sempre sottomesso la volontà di aspirare ad un bene comune finalizzato al solo benessere delle varie popolazioni dell’Africa. Molti Stati infatti sono ancora politicamente deboli, altri hanno scenari di guerriglia attivi nei propri confini e in generale la stabilità è sempre pronta a cedere il passo all’interesse.

La Sierra Leone è stato un campanello d’allarme che probabilmente risuonerà nuovamente in qualche altro Stato del continente non appena si aprirà uno scenario elettorale o una crisi di governo. L’Africa, e la maggior parte degli Stati che la compongono, meriterebbe la pace e la possibilità di gestirsi in autonomia, ma soprattutto meriterebbe governi interessati al benessere della popolazione.

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