Cassandra: la recensione

Cassandra mescola thriller e fantascienza, provando ad esplorare i pericoli etici della tecnologia e mostrando come un’intelligenza artificiale possa evolvere in una minaccia incontrollabile.

 

 

L’idea di base di Cassandra non è malvagia: una casa intelligente sviluppata negli anni ’70 e poi riattivata nel presente, con conseguenze inquietanti. Tuttavia, il racconto si scontra con alcuni elementi che risultano poco riusciti, come l’aderenza ai paletti del politicamente corretto e un accanimento contro la figura maschile che appare forzato.

La famiglia Prill si trasferisce nella prima smart house tedesca, progettata e costruita negli anni ‘70 ma rimasta inattiva per decenni. La casa è controllata da Cassandra, un’intelligenza artificiale avanzata per l’epoca, che una volta riattivata sviluppa un attaccamento ossessivo verso gli abitanti, arrivando a condizionarne la vita in modo sempre più invadente e pericoloso. Nel corso degli episodi, la tensione cresce mentre i Prill si rendono conto che sfuggire al controllo dell’AI potrebbe non essere così semplice.
La soluzione più ovvia sarebbe stata quella di staccare la corrente dall’interruttore generale, ma forse negli anni ’70 in Germania non si usava. Ci troviamo quindi di fronte a sei episodi che alternano buone intuizioni a scelte narrative meno riuscite.

 

 

Uno degli aspetti più interessanti della serie è il tentativo di utilizzare la tecnologia per evidenziare dilemmi etici e conseguenze impreviste dell’intelligenza artificiale; da questo punto di vista, Cassandra sembra trarre ispirazione dalla ben più celebre serie Black Mirror. Il problema sta nella realizzazione, che lascia più di qualche perplessità.
La storia si sviluppa su due linee temporali: il passato, in cui la domotica, la robotica e la tecnologia sembrano troppo avanzate rispetto al periodo in cui sono ambientate, e il presente, in cui le AI per il supporto domestico sono accettate facilmente.

Purtroppo, l’elemento retrò con cui si cerca di mascherare questa forzatura non convince del tutto. In particolare il robot umanoide semovente, che dovrebbe rappresentare un esempio di tecnologia d’avanguardia degli anni ‘70, assomiglia più a una scopa aspirapolvere con un monitor montato sulla testa; l’effetto è quasi comico e fa pensare che basti una leggera spinta per farlo cadere e mandarlo in frantumi. È una scelta che punta chiaramente sull’estetica più che sulla credibilità.

La caratterizzazione dei personaggi è decisamente più riuscita rispetto agli elementi tecnologici: le figure femminili adulte dominano la scena e sono ben costruite, mentre le controparti maschili, in particolare i mariti, vengono spesso relegati ad interazioni non particolarmente positive. Gli attori provengono tutti dal panorama televisivo tedesco e sono poco noti al pubblico internazionale, ma la loro performance è di buon livello. La recitazione è convincente e contribuisce a mantenere un certo grado di coinvolgimento.

La scelta di allinearsi al politicamente corretto è evidente: la serie include una buona rappresentanza di etnie e orientamenti sessuali, ma senza che questi elementi abbiano un vero ruolo nella trama. I vari personaggi sembrano inseriti più per rispettare un’ideologia che per aggiungere valore alla storia; basta osservare la composizione della famiglia Prill che è formata da un padre di colore, una madre di chiare origini arabe ed il primogenito con tendenze omosessuali.

 

 

Il ritmo narrativo non è frenetico, ma riesce a mantenere l’attenzione dello spettatore senza annoiare. La regia è interessante con alcune scelte visive ben riuscite, anche se ci sono momenti in cui si ha la sensazione che determinate scene potessero essere elaborate meglio.

La storia riserva qualche colpo di scena che riesce a sorprendere, mantenendo un buon livello di tensione. Tuttavia, resta difficile ignorare l’insistenza con cui viene messa sotto accusa la figura paternae. È comprensibile che un personaggio specifico possa essere dipinto come un marito e un padre discutibile per motivi di trama, ma estendere questa rappresentazione negativa a tutte le figure maschili della serie sembra eccessivo e, soprattutto, non aggiunge nulla di significativo al racconto.

Cassandra non è certo un capolavoro e non rivaleggia con Black Mirror, che riesce a trattare gli stessi temi in modo più incisivo e innovativo. Tuttavia, la serie tedesca ha comunque qualche spunto interessante e si lascia guardare, specialmente se non si hanno altre alternative valide per la serata.

 

Cassandra, 2025
Voto: 6
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