Inqualificabile! E, credetemi, questo pezzo potrebbe avere termine qui senza che io venga tacciato di poca eloquenza. Miei cari, è una farsa grottesca!
Se comunque avete tempo da perdere o siete curiosi a tal punto da sfidare ogni critica e voler vedere il film… eccomi a voi, più deluso e incazzato che mai, per parlare di questo lavoro degno solo dell’orifizio più recondito della sua famosa casa di produzione. Ma perché tanto odio? Cosa mi ha fatto di male questa pellicola? Ebbene ecco la risposta: ero ALLEGRO prima di entrare nella sala, ero CONFUSO alla fine del primo tempo, ero ANSIOSO che finisse a metà del secondo tempo, ero SCONVOLTO alla fine, mentre leggevo che il tutto è basato su una storia vera! Fossi imparentato con uno qualsiasi dei protagonisti della vicenda reale, farei piovere denunce sulla regista di una pellicola che fa di tutto per rendere il dramma dei miei cari una farsa grottesca con quasi nessuna ambizione di realisticità.
Ma cominciamo dal principio; siamo nell’America del 1993 fotografata come se fossero quasi dieci anni prima, e la realtà è quella delle piccole cittadine di periferia dove la vita è, tra una birra e una canna, aspettare che succeda qualcosa di diverso. Il/la protagonista è una ragazza gay di nome Teena Brandon che inverte nome e cognome, si taglia i capelli, mette un calzino nei jeans e rimorchia belle donne più di tutta la redazione al completo (sì, lo so che non ci vuole poi tanto a superarci in questo, ma in confronto alle doti psico-fisico-estetiche di Brandon-Teena siamo tutti degli adoni!).
Naturalmente questa sua attività, unitamente a qualche furto, la rende molto presto indesiderata non solo nella sua cittadina, ma anche nella casa del parente che la ospita. Da una improbabile e forzata rissa in una bettola del paese ecco arrivare nuovi amici, nuove ragazze folli di lei e una vita tutta nuova a Falls City.
Volando con noncuranza su tutti quei problemi legati al mantenimento della sua falsa identità, eccetto quello inevitabile che, mensilmente, la costringe a seminare prove sotto il materasso, (solo perché poi possano essere scoperte) Teena arriva a conquistare la bella (bella? n.d. Cobra) Lana. Intermezzato da assurde scene di sesso nelle quali la minorenne ma all’apparenza vissuta Lana non si accorge della protesi in lattice che sta usando la sua partner, la vicenda si complica a causa delle pendenze giudiziarie della nostra protagonista. Di qui gli eventi, e la sceneggiatura, precipitano.
Teena viene arrestata per non essersi presentata in tribunale a rispondere di una denuncia per furto d’auto. Candace, la ragazza che la ospita in casa, si accorge che le sono stati sottratti degli assegni e scopre quello che Brandon nasconde sotto il letto. Il giornale locale pubblica un articolo sulla nuova inquilina del carcere con i nomi messi nell’ordine giusto. Gli amici ex-detenuti e psicopatici di Lana mangiano la foglia e si arrabbiano non poco.
Lana, senza esitazione, paga la cauzione di una Teena dichiaratasi ermafrodita. Ma le bugie hanno le gambe corte, e dopo una brutale verifica da parte dei suddetti amici, la vicenda volge al tragico epilogo che comprende: violenza su Teena, Teena che denuncia la violenza anche se minacciata di morte, Lana che accetta la situazione e fa sesso con Teena (il giorno dopo la violenza, col pericolo di essere scoperte dagli ormai avvelenati galeotti!), propositi di fuga, ripensamento di Lana, arrivo dei boia, crudo finale.
Detto così potrebbe sembrare una storia comunque affascinante e piena di lezioni sul vivere sociale e sul dramma della diversità; così sarebbe se il tutto fosse stato sceneggiato con sufficiente chiarezza e lucidità. Il film è tutto un saltare di scena in scena, un capire e poi capire di non aver capito, un mettere dialoghi dove, in teoria, non ci sarebbe tempo per gli stessi.
Non parliamo poi della caratterizzazione dei personaggi perché i film di Vanzina hanno un protagonista più tridimensionale di questa Teena/Brandon, che ne avrebbe da dire su se stessa, ma allo sceneggiatore non è sembrato importante. Le scene drammatiche sono ben realizzate ma sembra che le violenze subite non lascino altri segni che quelli fisici sul protagonista: vabbè che i ragazzi non piangono, ma nessuno rimarrebbe così poco traumatizzato dopo un’esperienza del genere da mettersi a fare sesso dopo neanche qualche giorno (lo so, l’ho già detto, ma non mi va proprio giù)!
E poi se sai di dover scappare, scappa, non ti fermare in un posto, dove sai che ti cercheranno, a perdere tempo in smancerie! Il premio sufficienza per la recitazione va, senza dubbio, alla madre di Lana, unica parte del copione che può far pensare ad una madre qualsiasi in quel tipo di società.
Vorrei infierire oltre ma ho già dedicato fin troppo tempo a questo prodotto per la visione del quale non consiglio a nessuno di pagare il salato biglietto. Se proprio dovete liberarvi di questi soldi, andate a rivedervi Fucking Amal che tratta il problema meno drammaticamente ma con più lucidità e senza la pretesa di giustificarsi con la storia del fatto realmente accaduto.