Avatar – La Leggenda Di Aang – Stagione 1: l’altra recensione

Arti marziali, zen e i classici quattro elementi della natura sono gli ingredienti del cocktail di questa serie animata che ha ispirato M. Night Shyamalan.

 

Avatar La leggenda di Aang recensione

 

Cosa c’entra il regista de Il Sesto Senso con La Leggenda Di Aang? M. Night Shyamalan ha voluto girare un live-action ispirato a questa opera d’animazione, perché la storia merita davvero molto.
Dopo oltre 100 anni dalla sua scomparsa, proprio quando il mondo sta per cedere al dominio dei dominatori del fuoco, ricompare l’Avatar, un salvatore in grado di riportare l’equilibrio generale e ridonare la pace ai popoli stremati dalla guerra. In un lungo viaggio all’inseguimento del dominio dei quattro elementi, il giovane e calvo eroe attraversa l’Asia insieme ai due amici Katara e Sokka tra terre pericolose e animali feroci da affrontare.

L’impatto di Avatar – La Leggenda Di Aang, al momento della sua uscita, è stato a dir poco devastante. Ogni episodio dei venti che compongono questa prima stagione è, infatti, stato in grado di attirare più di un milione di spettatori alla sua prima messa in onda. Non solo. Il titolo ha vinto il “Miglior serie TV” e “Miglior serie televisiva animata nei ragazzi di età compresa tra i 9 ed i 14 anni” ai Pulcinella Awards 2005, che premia l’eccellenza nell’animazione. Il tutto, poi, come detto in apertura, è stato adattato in un lungometraggio dal titolo L’Ultimo Dominatore Dell’Aria diretto da quel M. Night Shyamalan che ci ha incantato con i suoi film visionari e orrorifici. Ma non è tutto oro quel che luccica.

La realizzazione grafica è penosa. Senza giri di parole, senza sconti. Di fronte ad un impianto narrativo così solido e nonostante le importanti suggestioni dei personaggi, i disegnatori hanno lavorato con la mano sinistra (forse anche fratturata e ingessata). Le immagini sono piatte e mal realizzate: i protagonisti hanno un livello appena sufficiente e le comparse scadono in disegni delle elementari.
Un’animazione così la si poteva accettare dalla Filmation dei Masters Of The Universe degli anni ottanta. In un momento storico in cui la concorrenza realizza viaggi visivi innovativi come in titoli tipo What If… ?, invece, diventa imbarazzante seguire queste puntate. Ci si aspetta che, da un momento o l’altra, esca Grunt degli Acchiappafantasmi rincorso da Malefix! E’ un po’ come presentarsi ad una partita di calcio di Champions League con le infradito. Perché? Cosa è andato storto?

 

Avatar recensione

 

L’altro neo è la lunghezza di una stagione che sembra infinita; più che una visione piacevole diventa un rapimento. Venti episodi da mezz’ora l’uno sono una produzione ipertrofica decisamente poco al passo con un pubblico giovane che vive di shorts e estemporaneità.

La baracca si salva grazie a Zuko, principe della Nazione Del Fuoco ossessionato dalla cattura dell’Avatar. L’evoluzione del suo carattere, puntata dopo puntata, restituisce modernità ad un titolo che puzza di Bim Bum bam e Cristina D’Avena lontano un miglio. Il fatto che inizi come un qualsiasi Skeletor e finisca come un controverso Harry Osborn fa onore alla produzione e fa ben sperare per le stagioni successive.

Se Avatar – La Leggenda Di Aang vuole essere un antipasto, diciamo che rischia di essere il sotto aceto in una cena di gala. Per fortuna il tempo di rimediare c’è… l’appetito in questa cena non manca. E poi un’altra nostra recensione non la pensa così.

 

Avatar – La leggenda di Aang, 2005
Voto: 6
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