Le crescenti tensioni tra Bolivia e Cile sfociano in uno dei più grandi conflitti che il Sudamerica indipendente abbia mai conosciuto.
L’indipendenza di gran parte del continente sudamericano, agli inizi del XIX° secolo, ha segnato e significato nuovi confini per le giovani nazioni appena nate. Confini spesso non ben definiti e sicuramente ancora meno accettati dalle parti in causa. Una disputa territoriale particolarmente sentita vede la sua nascita alla metà del secolo tra i rispettivi governi del Cile, il quale occupava una stretta fascia di terra molto più piccola di oggi, e della Bolivia; nazione, quest’ultima, che si assicurava uno sbocco sul Pacifico grazie alla sua provincia più occidentale, l’Antofagasta, che di fatto separava la costa tra il Perù e il Cile.
Nei fatti la disputa riguardava la zona desertica dell’Atacama, uno dei posti più aridi della Terra e almeno apparentemente priva di interesse. Solamente quando nella zona vengono scoperti ingenti depositi di guano e salnitri, ampiamente ricercati, pagati bene e facilmente estraibili, la tensione tra le due nazioni sale alle stelle. Il confine labile in questa regione non aiuta di certo e le due nazioni si accusano reciprocamente, tanto che per evitare di arrivare a uno scontro armato nel 1866 viene stipulato un primo trattato di pacifica vicinanza e cooperazione tra Cile e Bolivia. Il trattato sancisce un primo vero confine, che segue il 24° Parallelo Sud e la possibilità per entrambe le parti di sfruttare le risorse minerarie e agricole dell’area compresa tra il 23° e 25° Parallelo, dividendo in due metà esatte i tributi derivanti dallo sfruttamento dell’area.
Il trattato, con questa formula, dura poco più di otto anni; anni nei quali la parte boliviana mal tollera quella che vede come un’ingerenza cilena nel proprio cortile di casa. Moltissime aziende e imprenditori attivi nella zona sono infatti cileni o lavorano con licenza cilena, e la Bolivia teme che nel tempo questa forte presenza possa mettere a repentaglio la propria sovranità sull’area. Nel frattempo, la Compañía de Salitres y Ferrocarril de Antofagasta (CSFA), a capitali misti cileni e britannici, ottiene i diritti dal governo boliviano per lo sfruttamento di ampie zone nei dintorni del porto boliviano di Antofagasta e senza tassazione per i primi 15 anni, senza però ricevere l’approvazione del Congresso. Nel 1874 il trattato subisce una grande modifica e sancisce che per 25 anni le industrie e i capitali cileni non saranno soggetti ad aumenti di tassazione, in cambio di un tetto all’esportazione e allo sfruttamento della zona condivisa.
Si arriva così agli inizi del 1878, anno in cui la Bolivia decide di intervenire nuovamente sui trattati stipulati, in cerca di una soluzione alla crescente crisi economica del paese. Dichiara nulla la concessione sui 15 anni aggrappandosi al mancato passaggio per il Congresso, e rincara la dose aggiungendo una tassa di 10 centesimi per ogni quintale di salnitro esportato. Gli industriali e i proprietari d’impresa cileni alzano la voce, e il messaggio giunge fino a Santiago, capitale del Cile, che non rimane a guardare. I cileni impugnano il trattato del 1874 e l’articolo che citava il divieto di aumentare la tassazione già in vigore nel momento della stipula; le vivaci proteste sembrano inizialmente funzionare tanto che nell’Aprile dello stesso anno, la tassazione sul quintale di salnitro viene bloccata, ma solo fino al mese di Dicembre. Le continue proteste e la minaccia cilena di abolire qualsiasi trattato in merito alla gestione condivisa, spingono nuovamente la Bolivia a rilanciare la tassazione, forte del supporto che il Perù le garantisce: pochi anni prima era nata infatti un’alleanza militare segreta tra le due nazioni, in chiave anti-cilena.
La CSFA decide di continuare a non pagare le tasse per i mesi invernali. Il 6 Febbraio 1879 la Bolivia ne ritira la licenza per confiscarla definitivamente poco tempo dopo. Siamo al punto di non ritorno. La diplomazia e i trattati hanno fallito mentre i venti di guerra soffiano forti nell’Atacama.