Adriano Visconti e la fuga da Decimomannu

Dalla Tunisia alla Sardegna, le incredibili azioni che nel 1943 consentirono ad Adriano Visconti ed ai suoi uomini di continuare a volare.

 

 

Allo scoppio della seconda guerra mondiale la Regia Aeronautica non dispone di un apparecchio specifico per l’osservazione fotografica. Inizialmente tale compito viene affidato ad aerei da bombardamento quali i vari modelli di Cant.Z e gli immancabili S.79. Questi aerei, grossi e lenti vengono presto considerati inadatti per il loro compito, in particolare quando su Malta si intensifica la difesa antiaerea e in Africa il rapporto tra apparecchi italiani e inglesi è in svantaggio. Per le ricognizioni si pensa alla modifica di aerei da caccia, quindi piccoli, agili e veloci, ben più adatti in questo ruolo. Ecco che i caccia più moderni vengono modificati installando le grandi fotocamere.
Tra i piloti che più si distingueranno in operazioni di ricognizione c’è l’asso dell’aeronautica Adriano Visconti: sue numerosissime vittorie sui cieli di Malta e d’Africa, prima con la 76ª Squadriglia e poi nel 54° Stormo.
Visconti è in Tunisia nel 1943 e segue il triste epilogo della campagna d’Africa: nella primavera le forze dell’Asse tengono l’ultima resistenza sulle alture della Tunisia occupata. La 1ª Armata italiana e la 5ª Panzerarmee possono sfruttare la vicinanza all’Italia ed il vantaggio difensivo degli aspri rilievi della regione, ma i rifornimenti sono sempre più magri e i magazzini sempre più vuoti. Le mancanze vengono colmate col sacrificio ed il coraggio: è il tempo di grandi e genuini atti d’eroismo.

 

Visconti a bordo di un Macchi della 86ª Squadriglia. Sulla fiancata lo stemma di reparto col motto “Dare in brocca”.

 

A maggio la resa delle armate in Africa è prossima e gli inglesi, a ragione, temono una “Dunkerque italiana”. I tedeschi requisiscono infatti tutti i natanti per attraversare il canale e gli italiani approntano per il rimpatrio gli ultimi aerei rimasti. La difesa aerea è affidata ai pochi caccia rimasti: trentatré apparecchi del 54° Stormo, costituito dai residui del 7° ed il 16° Gruppo. Suddivisi tra le piste di Soliman e Korba gli apparecchi sono ormai esposti ai bombardamenti e alle incursioni aeree nemiche. Al 9 maggio non restano che appena quattro caccia danneggiati ma in condizioni accettabili. Gli specialisti si mettono al lavoro sugli apparecchi e a sorte si scelgono i piloti che tenteranno il ritorno in Patria. Nello stretto abitacolo monoposto oltre al pilota un passeggero, seduti l’uno sull’altro. Lo stesso giorno gli otto piloti decollano verso la Sicilia, ma nella notte si appronta anche un quinto caccia, questo più malmesso: quello di Visconti. Visconti decolla alle 5:00 e con lui il capitano ed amico Egeo Fioroni. A bordo, nella fusoliera, le lettere di chi invece non potrà tornare e avrà da scontare la prigionia. Visconti vola basso sul mare, sui cento metri, ed elude la caccia Alleata raggiungendo in 35 minuti la pista di Castelvetrano.

 

Visconti a bordo di un Macchi si prepara al decollo.

 

Nell’estate del ’43 sorge l’urgenza di monitorare lo svolgersi delle operazioni alleate tra la Tunisia e la Sicilia ed il 26 giugno viene costituita a Guidonia la 310ª Squadriglia Aerofotografica Caccia, la cui guida è affidata ad Adriano Visconti poiché si è già distinto più volte in operazioni di ricognizione e la sua abilità di pilota e comandante sono ben note. L’unità riceve i primi sei caccia e, dopo un periodo di addestramento, si trasferisce il 25 agosto 1943 alla base aerea di Decimomannu con tre dei caccia più moderni: il C.205V-RF “Veltro” nel modello adattato all’osservazione fotografica. Visconti in prima persona esegue nove missioni di osservazione sui porti Alleati in Tunisia, in Sicilia e Malta. Le pellicole vengono sviluppate a Decimomannu stesso e poi inviate ed analizzate a Guidonia.

 

A sx spaccato esempio della posizione degli uomini nel Macchi. A dx il volo direzione: Olbia, Bastia, Grosseto, Civitavecchia, Roma, Guidonia. (Fonte: decimomannuairbase.com)

 

Ma nel frattempo l’8 settembre coglie di sorpresa tutto il personale militare. Senza più ordini e nell’incertezza degli eventi sono molti i piloti sparsi per tutto il territorio nazionale o in zone di guerra che decidono di dare alle fiamme i loro apparecchi, di riparare all’estero o di cedersi agli Alleati. Anche i piloti della 310ª a Decimomannu devono affrontare lo stesso quesito e decidono di ritornare a Guidonia, loro sede operativa. Ma hanno solo tre caccia monoposto e sono in dodici: otto specialisti di terra ed i quattro piloti ovvero Visconti, il sottotenente Sajeva, il sergente Laiolo e il maresciallo Magnaghi. Visconti, memore della fuga dalla Tunisia, ordina gli specialisti affinché rimuovano ogni cosa dagli aerei: le grosse e preziose fotocamere, i lunghi nastri di proiettili, le mitragliatrici, i paracadute, i vetri corazzati, le corazze dei sedili e i sedili stessi.
Ecco che nella notte, dopo poche ore, gli aerei sono pronti e, svuotati dai pesi e dagli ingombri, possono ospitare in ognuno due uomini nella fusoliera in coda e due uomini nella cabina.

 

Avieri del 1° Gruppo Caccia Asso di Bastoni spingono lo speciale Bf-109 G10 di Visconti al Campo della Promessa (Lonate Pozzolo, VA). Parzialmente visibile lo stemma di reparto, ovvero l’asso di bastoni.

 

Alle 9:30 del 9 settembre non resta che partire, tutti eccetto il maresciallo fotografo che all’ultimo decide di rimanere a terra a custodire i preziosi apparecchi fotografici. Il cielo è favorevole ma, per il grande peso, già solo il decollo dimostra la difficoltà dell’intero viaggio: appesantiti gli apparecchi riescono per un soffio ad alzarsi alla fine della lunga pista.
Visconti guida la squadra, che muove in formazione libera. Non percorrono la rotta più breve: senza munizioni né armi devono tenersi alla larga da eventuali caccia Alleati e germanici. Inoltre, dal momento che non hanno più i canotti di salvataggio devono ridurre al minimo la tratta sul Tirreno. Volano quindi a bassa quota verso nord sulla Corsica e da Bastia correggono verso est, finché non raggiungono le coste italiane per così scendere a sud verso Civitavecchia ed infine a Guidonia.
Dopo due ore e mezza gli aerei, sotto l’occhio degli avieri della base, sorvolano incerti la pista di Guidonia. L’atterraggio è cosa difficile vista la scomodità dei piloti ai comandi. Il primo a tentare l’atterraggio è Visconti, ma è troppo veloce e si rialza in volo per un secondo tentativo. Sajeva è il secondo ed è anch’esso troppo veloce, ma riesce ad atterrare fermandosi appena alla fine della pista, mentre il terzo, Laiola, atterra regolarmente. Visconti, al secondo tentativo, è di nuovo troppo veloce e atterrando esce dalla pista, si infila tra due strette fila di caccia e si ferma infine dentro un hangar. Gli uomini della base comprendono presto la ragione di quello strano volo vedondo gli undici uomini uscire dagli aerei.

 

Profilo del maggiore Adriano Visconti nell’ultimo periodo di guerra con indosso l’uniforme dell’ANR.

 

La missione è compiuta, ma la guerra è tutt’altro che finita: Visconti accoglie il “bando Botto”, ovvero la richiesta di un altro asso dell’aeronautica, Ernesto Botto, di continuare a combattere gli Alleati. Visconti aderisce quindi alla Repubblica Sociale e coi gradi di maggiore sarà al comando del 1° Gruppo Caccia “Asso di Bastoni” nell’Aeronautica Nazionale Repubblicana. Visconti diventa presto il protagonista delle ultime pagine di guerra nei cieli italiani. Il 1° Gruppo Caccia viene impiegato unicamente con compiti di pattuglia e di intercettazione dei bomardieri Alleati, finché ad agosto del ’44 Visconti ne fa bruciare gli aerei, in segno di protesta per l’ordine ricevuto dalla Luftwaffe di finire, con i suoi uomini, al diretto controllo tedesco. Riprende a volare solo mesi più tardi fino alla primavera del ’45.
Imbattibile nei cieli è a terra che Visconti incontra la sorte: il 29 aprile 1945 si reca alla caserma del Savoia Cavalleria a Milano per trattare i termini della resa con i partigiani; con lui il suo assitente, il sottotente Valerio Stefanini. Alla caserma un partigiano li accompagna, ma d’un tratto l’uomo imbraccia il mitra alle loro spalle per sparare. Stefanini se ne accorge e si volta facendo da scudo a Visconti. Un attimo dopo una prima raffica uccide sul colpo Stefanini e una seconda lascia Visconti gravemente ferito, riuscendo solo a gridare “Mirate al petto, vigliacchi!”, ma inascoltato viene finito con due colpi di pistola alla nuca.

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