Adolf Eichmann fugge in Argentina. Il Mossad lo cattura per processarlo in Israele.
Ci eravamo lasciati con la fine del Terzo Reich e la fuga di Eichmann che, a partire dall’8 Maggio 1945 si spaccia per un membro delle SS – con il nome di Otto Eckman – e sotto questa falsa identità viene arrestato dalle forze anglo-americane e detenuto in un campo di prigionia. Temendo di essere riconosciuto, tenta e riesce in una fuga che lo porta in un piccolo villaggio nei pressi di Amburgo, dove vive per alcuni anni mantenendo un profilo basso.
Tra il 1948 e il 1950, Eichmann si appoggia a tutti i contatti europei per riuscire ad ottenere il visto per l’Argentina, questa volta col nome di Ricardo Klement, ottenendolo grazie a un vescovo austriaco dalle fortissime simpatie naziste, nonché capo di un’organizzazione esportatrice di nazisti verso il Sudamerica, tale Alois Hudal. Senza destare troppa attenzione, e grazie alla rete capeggiata dal già menzionato vescovo, Eichmann riesce a salpare dal porto di Genova il 17 Giugno 1950, con direzione Buenos Aires.
Si arrangia per due anni fino a quando la famiglia lo raggiunge in Argentina nel 1952. Questo anno si rivela particolarmente fortunato e propizio per Eichmann: oltre ad essersi ricongiunto con i propri cari, ottiene un lavoro direttamente alla Mercedes-Benz, che non tarda a riconoscerne le qualità organizzative. Negli otto anni successivi, la famiglia Eichmann mette radici in terra sudamericana, si ambienta e si integra nel tessuto sociale argentino, illudendosi di essere finalmente scampati al tribunale della Storia. Con l’inizio del 1960 tutto cambia.
Il governo d’Israele e il Mossad, il proprio servizio di intelligence, inizia a ricevere informazioni riguardanti la presenza di Eichmann in Argentina già a partire dal 1953, quando Simon Wiesenthal, cacciatore di nazisti, informa di aver ricevuto per iscritto la notizia di un primo avvistamento dell’uomo a Buenos Aires. Una seconda conferma si ha nel 1956 quando la figlia di Lothar Hermann, ebreo fuggito in Argentina appena in tempo, nel 1938, informa il padre di frequentare un certo Klaus Eichmann. Lothar, che mantiene ancora contatti in Europa, avverte prontamente il procuratore generale di Hesse (Germania) Bauer Fritz, il quale poco dopo si mette direttamente in contatto con il Mossad. I primi uomini arrivati a Buenos Aires per accertarsi della vera identità dell’uomo che ancora si fa chiamare Ricardo Klement, confermano la versione di Lothar e Bauer: si tratta proprio di Adolf Eichmann.
Data la quasi assoluta certezza che l’Argentina non avrebbe mai acconsentito a una tradizionale estradizione, viste le pregresse esperienze con altri criminali lì fuggiti negli anni precedenti, il Mossad decide direttamente di inviare i propri uomini a catturare e trasportare Eichmann in Israele, e lì processarlo.
Isser Harel, direttore del Mossad e Rafi Eitan, a capo di una squadra di otto agenti, arrivano in Argentina nel Maggio del 1960. Seguono i movimenti di Eichmann e mettono a punto un piano: Eichmann torna ogni sera con l’autobus, scende e percorre un pezzo di strada a piedi, su una strada abbastanza isolata prima di arrivare a casa. Eichmann ritarda e gli agenti sono sul punto di annullare la missione, ma mezz’ora dopo una piccola figura si palesa sulla strada. La macchina degli agenti è ferma a bordo strada, uno di loro approccia un cauto Eichmann parlandogli in spagnolo. Eichmann non risponde e probabilmente l’istinto gli dice che c’è qualcosa sotto, ma ecco che gli agenti lo buttano a terra e lo caricano a forza nell’auto, che velocemente sfreccia verso una casa sicura nei sobborghi di Buenos Aires. Nei nove giorni di prigionia, Eichmann confessa la vera identità mentre il Mossad prepara il rientro della squadra e del preziosissimo trofeo. Il prigioniero viene sedato e travestito da assistente di bordo per passare i controlli. Atterrano in Israele il 22 Maggio 1960.
Eichmann viene detenuto per nove mesi e ripetutamente interrogato. La propria linea difensiva è sempre e solo una: l’uomo ha rispettato solo gli ordini dei superiori e ha solamente svolto il proprio lavoro, così come ordinato. L’11 Aprile 1961 si apre ufficialmente il Processo Eichmann, il quale si presenta davanti ai giudici con 15 capi di accusa, tra i più gravi. Vengono prodotte migliaia di pagine, presentati centinaia di documenti e prove mentre il processo acquista una rilevanza mediatica enorme. Eichmann è calmo e freddo, lucido sempre, al punto da infastidire la giuria. L’unica colpa che ammette è quella di aver organizzato il genocidio, ma non si sente minimamente responsabile in quanto l’ordine arrivava dall’alto. Ammette anche che gli ebrei in fondo non gli sono mai piaciuti così come i sovietici e gli altri nemici del Reich.
Il 12 Dicembre 1961 viene letto il verdetto. I giudici riconoscono che personalmente Eichmann non ha mai ucciso esseri umani e che le decisioni politiche inerenti allo sterminio di massa appartenevano effettivamente alle alte gerarchie naziste. La corte tuttavia lo ritiene co-responsabile delle sorti di milioni di persone, delle condizioni dei trasporti e della gestione dei campi, accuse che rientrano in complicità nel genocidio perpetrato dai nazisti. Nei fatti, pur non avendo mai ucciso, ha facilitato e si è speso per migliorare l’efficacia dei metodi di sterminio. Viene condannato a morte per impiccagione.
La difesa tenta, nei successivi mesi, un disperato appello e chiede clemenza ai giudici i quali tuttavia respingono tutte le richieste. Poco dopo la mezzanotte del 1 Giugno 1962, Eichmann viene impiccato nel carcere di Ramla. Se la nota Hannah Arendt, testimone del processo Eichmann, l’ha definito un uomo comune, banale, quasi un“omicida da ufficio”che svolge un ruolo senza troppe implicazioni morali o ideologiche, nuove interpretazioni oggi si contrappongono a questa tesi, disegnandoci un Eichmann profondamente antisemita e legato al nazismo che si dimostra essere banale e innocuo solamente davanti ai giudici.