Leningrado paga a caro prezzo la propria sopravvivenza, soffrendo un terribile assedio che presto si trasforma in tragedia umana.
Il 22 giugno 1941 la macchina bellica dell’Asse si riversa nei territori sovietici, cogliendo di sorpresa le numerose formazioni dell’Armata Rossa posizionate troppo vicine al confine e senza linee difensive ben definite. Le formazioni tedesche, insieme agli alleati, direzionano gli attacchi principalmente verso tre settori: a sud, avanzando attraverso le infinite pianure ucraine; al centro, con l’obiettivo di raggiungere il più velocemente Mosca; infine verso il nord, in direzione Leningrado, passando per le repubbliche baltiche.
Il Gruppo d’Armate Nord, guidato dal Feldmaresciallo Von Leeb, avanza rapidamente tanto che già sul finire di luglio le divisioni più avanzate tentano la prima sortita in direzione della città fondata da Pietro il Grande. Il settore coperto dal Gruppo d’Armate Nord è però eccessivamente esteso e le divisioni, che hanno marciato a una velocità notevole, necessitano una riorganizzazione e un riposizionamento per coprire efficacemente la linea del fronte. Pertanto i sovietici riescono a bloccare la prima punta d’attacco a poco meno di cento chilometri dalla città. Il pericolo tuttavia non arriva solamente dai Panzer tedeschi: a nord, le forze finlandesi si accingono a dare supporto alla manovra tedesca recuperando i territori persi nell’inverno del 1939 e avvicinandosi pericolosamente a Leningrado da Nord.
La città inizia i preparativi per un massiccio sistema difensivo, impiegando militari e civili in uno sforzo enorme per fortificare e rinforzare le linee principali che li separano da una cupa occupazione tedesca. La regione della Karelia sovietica, a nord, si prepara per resistere ad un eventuale attacco diretto da parte dell’esercito finlandese, mentre a sud si scavano centinaia di trincee, fossati anticarro e postazioni di difesa.
Novgorod, importante città sovietica a sud di Leningrado, cade a metà agosto insieme a Pskov e Narva, lasciando via libera alla possibilità di concentrare quante più divisioni possibili in vista di un attacco frontale alla città. Nel frattempo, l’Armata Rossa riesce ad evacuare circa la metà della popolazione urbana del centro abitato e dei suoi dintorni, lasciando però più di un milione e mezzo di persone in quella che a breve diventerà un triste Kessel, una sacca, come la chiamano i tedeschi. Il 30 Agosto viene raggiunto il fiume Neva, interrompendo l’ultimo diretto collegamento su rotaia tra Leningrado e il resto dell’Unione Sovietica. Poco meno di due settimane dopo l’accerchiamento è già quasi completo, se non fosse per un piccolo lembo di terra ancora in mano sovietica che si collega al lago Lagoda. I sovietici non lo sanno ancora, ma dopo l’incontro tra le delegazioni tedesche e finlandesi, emerge chiara l’intenzione di Helsinki di non spingersi oltre la linea che sta preparando circa 35 chilometri a nord di Leningrado, assumendo un assetto difensivo. La città è ufficialmente, dalla metà di settembre, in una trappola mortale.
Ha inizio così una lunga notte per Leningrado, 900 giorni di sofferenze e di morte. I vertici militari del Gruppo d’Armate Nord, di comune accordo con Hitler, sono decisi a far cadere la città per fame piuttosto che dover rischiare un diretto attacco e addentarsi in una sanguinosa battaglia strada per strada dagli esiti tutto sommato incerti. Per gli assediati è l’inizio del calvario: iniziano a cadere le prime bombe sui quartieri cittadini, una delle quali colpisce uno dei depositi che custodiscono le riserve alimentari della città, distruggendolo interamente.
L’obiettivo principale dell’Armata Rossa in questo settore diventa l’approvvigionamento sia dei civili che delle truppe a difesa della città, e ciò è ancora reso parzialmente possibile sfruttando le acque del lago fino allo stretto passaggio verso Leningrado. I tedeschi non restano a guardare, affondando quante più imbarcazioni possibili, trasformando così ogni spedizione in un vero e proprio viaggio della speranza. A novembre inoltrato le acque del Lagoda ghiacciano, rendendo possibile l’attraversamento anche con mezzi a ruote, ma i viaggi sono pochi con risultati spesso catastrofici.
L’arrivo dell’inverno porta venti di morte per i cittadini intrappolati. La fame inizia a farsi sentire e inizia la conta dei primi deceduti per inedia. La propaganda promette imminenti aiuti e l’arrivo delle divisioni dell’Armata Rossa a liberare la città simbolo dell’Unione Sovietica ma poco si può fare concretamente. Il primo anno d’assedio è quello più terribile, la morsa intorno alla città è così forte che a tratti nemmeno un carico di cibo riesce a raggiungere le periferie per settimane. Si continua a morire, con numeri che raggiungono livelli allarmanti. Appaiono i primi casi di cannibalismo, a lungo negati dalla polizia sovietica ma sempre presenti nei racconti dei sopravvissuti.
Solamente nell’autunno del 1942 le forze sovietiche sono in grado di sferrare un attacco di alleggerimento in direzione Leningrado, in concomitanza con l’avvio di un tentativo da parte delle divisioni tedesche di entrare in città. Nonostante l’assedio continui, viene sventata l’entrata di truppe nemiche nei sobborghi di Leningrado.
L’Operazione Iskra, del Gennaio 1943, riesce a scuotere gli assedianti ed a rompere l’anello di ferro intorno alla città quanto basta per creare un collegamento e far affluire alimenti, munizioni e materie prime nell’esausta città. La capacità combattiva dei tedeschi è ancora buona e regge l’urto degli attacchi sovietici, riuscendo a ripristinare l’assedio per ancora un lungo ed interminabile anno.
Il 1944 vede le forze sovietiche in netto vantaggio sull’Asse. La situazione si è quasi del tutto capovolta, con l’iniziativa dalla parte dei comunisti praticamente in tutti i settori del fronte. Il Gruppo d’Armate Centro e Sud hanno subito colpi mortali, e arretrano velocemente, mentre il Gruppo Nord riesce a controllare gran parte dei territori occupati tra il 1941 e 1942. A fine Gennaio del 1944 arriva però l’offensiva generale sovietica in direzione Leningrado-Novgorod, decisa a spezzare una volta per tutte il Gruppo Nord. Il 27 Gennaio l’assedio è concluso, i collegamenti vengono ristabiliti e lunghi convogli di aiuti vengono fatti affluire nella città martoriata da due anni e mezzo di assedio quasi ininterrotto.
I tedeschi, nella ritirata, trovano il tempo di saccheggiare e distruggere importanti siti del patrimonio storico russo, inviando numerose opere d’arte a Berlino e danneggiandone tantissime altre.
Il bilancio è tragico, circa un milione di civili perdono la vita, mentre le perdite dell’Armata Rossa ammontano a circa mezzo milione di soldati tra morti e prigionieri. I tedeschi contano tra il 1941 e il 1944 circa 550.000 morti e dispersi.