55 Giorni A Pechino è uno di quei film d’annata in grado di appassionare e coinvolgere grazie alla sua solidità senza tempo.
Nel 1900 la Cina era pervasa da un sentimento antioccidentale non troppo dissimile da quello che vediamo permeare oggi le relazioni internazionali del Dragone. La rivolta dei Boxer travolse gli occidentali presenti sul territorio cinese per motivi commerciali e diplomatici, e cambiò radicalmente il modo in cui Cina e occidente si sarebbero guardati da quel momento in poi.
55 Giorni A Pechino racconta proprio le violenze avvenute nella capitale cinese ad opera della frangia più nazionalista del potere locale, che armando un’enorme massa di contadini, artigiani e gruppi sociali affatto benestanti che vedevano la presenza degli stranieri come un pericolo per la propria sopravvivenza.
La rivolta, sanguinosissima, si espanse dai territori rurali fino alla capitale, manovrata da alcuni dei dignitari reali, e coinvolse sia soldati che irregolari che civili, in un bagno di sangue durato circa un anno.
Il colossal del 1963 non vuole essere un documentario, ma un film che miscela dramma, storia e romanticismo come spesso accadeva in quegli anni. Un cast stellare, del quale parleremo più avanti, va a formare la squadra di diplomatici a capo delle delegazioni straniere e intorno ai quali le vicende andranno a intrecciarsi; e se il grosso del tempo lo passeremo fra statunitensi ed inglesi, spazio è concesso anche alle altre delegazioni di rilievo.
Il film presenta tutt’oggi un ritmo assolutamente piacevole; pur considerando certe esagerazioni tipiche del cinema degli anni ’60, 55 Giorni A Pechino è godibilissimo dai primi minuti alla fine. A tal proposito non va trascurato il fatto che la sua durata, oltre due ore e mezza di proiezione, sembra addirittura insufficiente, e che lo spettatore può facilmente rimanere con la sensazione che si sarebbe potuto ingrossare il film senza allungare il brodo.
Le vicende spaziano dai momenti prettamente frivoli, una costante del cinema dell’epoca, a quelli più drammatici e prettamente guerreschi; la loro unione è omogenea e ben realizzata, e complessivamente 55 Giorni A Pechino risulta una pellicola assolutamente apprezzabile, mai sbilanciata, retorica o troppo melensa.
Decisamente buono il lavoro del regista Nicholas Ray (I Bassifondi Di San Francisco, Il Temerario, Gioventù Bruciata, Il Re Dei Re), in grado di realizzare un film che riesce a coinvolgere lo spettatore in modo progressivo, e capace di collegare solidamente eventi e situazioni diverse.
Buone le scene corali, mentre forse sono un pelo teatrali quelle legate ai combattimenti. Buona la fotografia e il confezionamento complessivo del film.
Abbiamo detto che 55 Giorni A Pechino si avvale di un cast di assoluto rilievo, che da solo riesce a tenere in alto il livello complessivo della pellicola; e citarne solo alcuni sarebbe un sacrilegio. Si parte da “mascellone” Charlton Heston (Furia Bianca, La Guerra Privata Del Maggiore Benson, I Dieci Comandamenti, Ben-Hur, La Più Grande Storia Mai Raccontata, Khartoum, Il Pianeta Delle Scimmie, 1975: Occhi Bianchi Sul Pianeta Terra, I Tre Moschettieri, Terremoto, La Battaglia Di Midway, Panico Nello Stadio, Il Seme Della Follia, Armageddon – Giudizio Finale, Ogni Maledetta Domenica), che prende possesso del palcoscenico nei panni di un pomposo ma ancora gestibile Maggiore di cavalleria statunitense.
Ma accanto a lui troviamo attori del calibro di David Niven (La Tragedia Del Bounty, La Carica Dei 600, Il Prigioniero Di Zenda, Il Giro Del Mondo In 80 Giorni, Le Donne Hanno Sempre Ragione, L’Impareggiabile Godfrey, Tutte Le Ragazze Lo Sanno, Non Mangiate Le Margherite, I Cannoni Di Navarone, I Due Nemici, La Pantera Rosa, La Statua, Invito A Cena Con Delitto, Assassinio Sul Nilo), perfetto nei panni dell’Ambasciatore inglese in grado di compattare le diverse legazioni per sperare di venirne fuori vivi.
E poi ancora Ava Gardner (Il Bacio Di Venere, I Marciapiedi Di New York, Voglio Essere Tua, I Cavalieri Della Tavola Rotonda, La Contessa Scalza, La Maja Desnuda, L’Ultima Spiaggia, Sette Giorni A Maggio, Terremoto, Cassandra Crossing), ottima interprete di una arrampicatrice sociale russa; Flora Robson (Cesare E Cleopatra, Ragazze Perdute, Giulietta E Romeo, Quei Temerari Sulle Macchine Volanti, Le Avventure Di Alice Nel Paese Delle Meraviglie, Scontro Di Titani) nei panni dell’imperatrice cinese; e ancora John Ireland (Sfida All’O.K. Corral, Spartacus, La Caduta Dell’Impero Romano, Noi Non Siamo Angeli), Leo Glenn (Addio Signora Miniver, Quo Vadis, Berretti Rossi, L’Amante Di Lady Chatterly, L’Affare Dreyfus, Il Giorno Più Lungo, Dieci Piccoli Indiani, Khartoum), Harry Andrews (L’Affare Dreyfus, I Due Nemici, Barabba, I Seicento Di Balaklava, I Lunghi Giorni Delle Aquile, Cime Tempestose, Assassinio Sul Nilo, Superman), Robert Helpmann (Quiller Memorandum, Le Avventure Di Alice Nel Paese Delle Meraviglie) ed un giovane Philippe Leroy (Sette Uomini D’Oro, Delitto Quasi Perfetto, Milano Calibro 9, Il Soldato Di Ventura, Nikita, L’Infiltrato, Il Sangue Dei Vinti).
55 Giorni A Pechino è uno di quei classici senza tempo che vanno assolutamente visti, sia per conoscere un pezzo di cinema che ha fatto storia, sia che ci si voglia semplicemente vedere un bel film d’epoca, sia per conoscere, anche se in modo romanzato, degli eventi che hanno segnato l’inizio del secolo scorso e che ancora oggi hanno un influsso sulla situazione geopolitica attuale.