5 – Tensioni

“Allora stanotte andiamo al deposito della Metro a Magliana?”
“Si, ma ci andiamo in borghese. Se vedono le divise scappano subito.”

 

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Falsini sapeva che era un grosso, grosso strappo alle regole. Se Todeschini aveva permesso una cosa del genere, evidentemente doveva puntarci molto. E, da quel che aveva intuito, il Capitano non ne sapeva nulla. Poi, il Maresciallo disse qualcosa che non comprese. “Dicevo, fatti trovare all’una in caserma, già pronto. Adesso ce ne andiamo a casa a dormire un pò. Certo che ultimamente facciamo strani orari, eh?” Marelli ridacchiava.
“Si, Maresciallo. A più tardi.” Poi uscì nel corridoio gelido, e incamminandosi verso l’uscita, prese il celluare e richiamò un nome dalla rubrica. “Giulia? Dobbiamo annullare. Ho da fare stasera. Si, lavoro…”

“Non riesco a mettergli a fuoco il viso.”
“Tenente, nemmeno io. Però i volti degli altri due sono ben definiti. Magari sono le luci che fanno un riflesso strano? C’è un bagliore anche intorno alle mani.”
Todeschini non era convinto. La cosa non gli quadrava per niente. “Però è costante, anche quando si muove. Sembra quasi che sia proprio la sua faccia a essere fuori fuoco.” Fece una pausa, poi disse una cosa a metà fra l’essere una battuta o un’affermazione. “Sembra una di quelle cose che si vedono nei film horror.”

“Massimo, lo sai che ti reputo un valido elemento. Però fra il caso dei due ragazzini ammazzati l’altro giorno e quello di stanotte, mi sembra proprio che tu non sappia che pesci pigliare.” Il Capitano era abbastanza serio, il suo tono di voce non era di quelli che mettevano a proprio agio. “Se non ce la fai a curarli entrambi dimmelo subito, non fa niente che eri di turno tu entrambe le volte. Ho bisogno di risultati, e ultimamente non ti vedo al meglio. Non sto qui a dirti la pressione che abbiamo addosso, lo puoi capire da solo. Oggi il Colonnello mi ha chiamato due volte per avere aggiornamenti.”
Todeschini annuì. “Per viale Pasteur forse abbiamo qualcosa per le mani, stanotte Marelli e Falsini fanno un appostamento. Per il Laghetto… Capitano, ha letto i referti?”
“Si, li ho letti. Non sono le cose più strane che abbia visto in tanti anni di carriera, posso capire il tuo smarrimento ma non possiamo stare qui a stupirci. Te lo chiedo di nuovo: pensi di riuscire a gestire entrambe le situazioni?” Lo sguardo di Pancardo era fisso nei suoi occhi.
“Si, Capitano. Non si preoccupi.” Pancardo fece finta di credergli. In realtà erano entrambi molto preoccupati.

Si guardava le mani. Pulsavano visibilmente. Aveva abbandonato la fase dello spavento, del disorientamento. Ora era solo curioso.

A cena c’era un clima pesante, e non capiva perchè. Giovanna non spiccicava parola praticamente dal giorno prima, e continuava a sfuggire il suo sguardo; e a dire il vero a lui pesava affrontare l’argomento, era troppo stanco per dover dedicare energie anche a quello. Poi quel silenzio, rotto solo dal telegiornale, diventò troppo ingombrante. “Si può sapere che c’è?”
Lei continuò a mangiare in silenzio, poi a mezza voce, sempre guardando il piatto, rispose con un tono piatto e freddo. “Non ci sei mai.”
“Lo sai che è il mio lavoro. Non posso mica dire ho da fare, me ne sto a casa. Quando succede qualcosa non posso andar via prima di aver finito.”
“Il lavoro, il lavoro. Che stiamo a fare insieme? Io mica mi sono sposata l’Arma dei Carabinieri. E dove sta mio marito? Ogni volta che ho un problema non ci sei mai. Lo sai che oggi mi si è fermata la macchina in mezzo al traffico? Ti ho chiamato e non mi hai risposto. Mi aspettavo che mi richiamassi, e invece niente: è giusto che quando vorrei qualcuno vicino a me, mi ritrovo da sola?” Giovanna stava alzando la voce, progressivamente. Un ipotetico spettatore avrebbe notato l’ondata montante. “Che ci siamo sposati a fare? Tanto valeva restarsene ognuno a casa sua, almeno ti facevi i tuoi comodi, e io restavo il tuo passatempo. Almeno prima c’era il sesso, ultimamente nemmeno quello. Eppure avevi fatto una promessa, no?”
Todeschini aveva mille cose da dire, ma nessuna in una forma che non avrebbe peggiorato la situazione. In quel momento aveva bisogno di supporto e tranquillità, non di un secondo fronte interno. “Ci sto lavorando, ma mica voglio andare a fare il primo lavoro di passacarte che capita. A me l’Investigativa piace, avrò diritto di spostarmi in un reparto che non mi faccia schifo?”
Giovanna si era alzata, già mentre lui parlava. Nervosamente aveva preso il suo piatto, ancora mezzo pieno, e lo aveva lasciato sul ripiano prima che fosse già a contatto con la superficie, col risultato che sbattendo fece volar via la forchetta, che rimbalzò e cadde per terra. Lei lanciò una mezza imprecazione, poi si girò verso la porta della cucina, tentando di respingere le lacrime che tentavano di venir fuori. Rapidamente uscì e si rifugiò nella stanza da letto. Lui rimase silenzioso, seduto, a fissare il bicchiere.
Fuori pioveva.

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